Declinazione del dialetto ossolano: il bognanchese con i suoi detti, soprannomi ed appellativi è un dialetto dal valore di portata storica.
L’Italia ha un patrimonio folkloristico immenso e invidiato in tutto il mondo. Arte, religione e tradizioni sociali: la ricchezza della penisola è incalcolabile.
Tra queste, i dialetti italiani superano lo scorrere del tempo e tramandano gli usi e costumi di una volta.
In valle Bognanco la tradizione dialettale è un mondo tutto da scoprire, rimasto per gran parte inalterato nella mondanità odierna. Proprio grazie al lavoro di ricerca di un bognanchese, Giancarlo Castellano, oggi è consultabile virtualmente questo articolo, documento digitale che ripercorre secoli di tradizione e comunicazione orale altrimenti persi.
Comunemente con il termine dialetto si intende un ecosistema linguistico circoscritto ad una precisa area geografica, solitamente preferito a quella che storicamente si è imposta culturalmente come lingua “nazionale”.
I dialetti italiani sono dunque il risultato di generazioni e paesi con abitudini e socialità affini, isolati dai canoni comunicativi e lessicali e che, col passare degli anni, si sono imposti come lingua di una ristretta popolazione.
La caratteristica geografica è particolarmente riscontrabile nella morfologia della Valle Bognanco.
La valle, obbligata a convivere con un territorio montano e selvaggio, è composta da una fitta rete di frazioni, in gran parte disabitate, collegate da un’altrettanto fitta ramificazione di sentieri.
Partendo dal basso, sul versante rivolto a nord: Bei, Arsacca, Crestapiana, Bosco, Pioi e San Marco.
Le frazioni sul versante opposto sono invece Torno, Gabbio, Ronco, Camparione, Pianezza, Messasca, Fonti, Possa, Possetto, S.Martino, Picciola, Pizzanco, Cresta, Camisanca, Boco, Bacinasco, S. Lorenzo, Graniga, Gomba, Moraso, Mulera, Valpiana e Piodellatte.
Oltre ai borghi citati, ci sono altri numerosi piccoli nuclei urbani, disseminati lungo il territorio e che un tempo venivano abitati solo per brevi periodi. Questi erano costruiti con lo stretto necessario per lavorare la campagna circostante o gli alpeggi.
Alcuni borghi fra i più noti: Colorio (casa natale di Gian Giacomo Galletti), Croce, Ronco, Vercengio, Gallinera, Trombera, Rambolone, Foibello e tanti altri.
La straordinaria architettura rurale delle varie frazioni è stata motore naturale del sorgere di numerosi appellativi, espressioni bognanchesi del dialetto ossolano usate per descrivere gli abitanti delle diverse frazioni.
Partendo dall’alto, gli abitanti del borgo di Graniga venivano chiamati “i cairuss”, che tradotto significa cani rossi. Difficile stabilire il reale motivo, poiché non esiste documentazione storica che lo verifichi. Tra le ipotesi, si pensa sia legato ad un periodo in cui nel paese vivevano persone con i capelli rossi, fenomeno particolarmente anomalo in montagna.
Cosa analoga si è manifestata anche a Vagna (sopra Domodossola) dove gli abitanti venivano chiamati “i formic ross da Vagna”.
Scendendo di quota da Graniga, invece, “I biasapaternostar” (si pensa alla forte religiosità e devozione della comunità) erano gli abitanti di Croce.
I bognanchesi del capoluogo San Lorenzo venivano chiamati “la signoria” con probabile certezza perché storicamente nel luogo vi abitavano le persone più importanti e facoltose. Poiché un tempo San Lorenzo era anche chiamato “Cavuccio”, era comune l’appellativo “la signoria da Cavusc”.
Tra gli abitanti di San Lorenzo, inoltre, era usanza riferirsi a quelli di “Bognanco Fuori” con l’appellativo “i patarei”, i quali rispondevano con il soprannome di “baroi” (baroni, vedi sopra signoria).
“I brusaret” (brucia topi) erano coloro che abitavano il borgo di Boco.
Si può prudentemente affermare che il termine sia nato a seguito di un’invasione di ratti, a cui gli abitanti risposero col fuoco.
Oggi, a dispetto dello storico soprannome, la sorridente frazione di Boco è un museo a cielo aperto, rinominata dal 2009 Bocodipinta. Installazioni e sculture, affreschi e testimonianze storiche guidano i visitatori tra le vie del borgo e le bellezze della Valle Bognanco.
“I casarui” (casari) erano detti quelli di Pizzanco. L’appellativo nasce dalla forte tradizione dell’alpeggio: nel paese vivevano infatti numerose famiglie tra i maggiori casari della valle. Latte burro e formaggi sono ancora oggi riconosciuti come i frutti del lavoro in alpeggio degli abitanti di Pizzanco.
“I marcantoni” (gran pezzi d’uomini, forse per una serie di generazioni di alta statura) erano detti coloro che vivevano a Picciola mentre “i picasass” (scalpellini) gli abitanti della frazione di S. Martino, luogo in cui si lavorava la pietra ollare.
Gli abitanti di Camisanca erano detti “i patela bianca”(camicia da notte bianca, forse per alcune usanze di indossare indumenti chiari).
“I cadregatt” erano invece chiamate le famiglie di Possetto per la loro tradizionale fabbricazione di sedie.
Tra gli appellativi usati c’erano anche “i dutor” (dottori) riservati agli abitanti di Possa, “i caralitt”, quelli di Prestino e ”i magunitt” (gozzuti) quelli di Ponte (oggi parte bassa di Bognanco Fonti).
Ma ancora: “i varda pernis”(guarda pernici) erano gli abitanti della Cresta, “i castegn ross” (castagne rosse, per la colorazione più chiara) quelli di Valpiana, infine “i matan bel” (ragazze belle) quelli di Piodellatte.
Oggi tutti questi soprannomi sono stati per la maggior parte dimenticati, a formare però l’immenso patrimonio storico e culturale della valle.