L’ultimo degli spalloni

Gli spalloni sui sentieri per la Svizzera

All’andata la salita rendeva agli spalloni tutto più difficile, sempre che la neve non ostacolasse ulteriormente il cammino. Quattro ore di sentieri impervi fino al confine svizzero. Eppure la fatica non sarebbe stata il problema più grande, il pericolo maggiore. Il sentiero del ritorno, nel buio totale e avvolgente della notte, avrebbe nascosto più facilmente i finanzieri italiani in agguato.

Ad ogni passo il peso del corpo sprofondava nella neve fino alle ginocchia, le racchette da neve poi, a quel tempo, erano semplici pezzi di legno con stringhe. Il carico sulle spalle avrebbe gravato ulteriormente ogni contatto col suolo. E se, dopo tre ore, superato il pericolo più grande lungo le fiancate della valle, un sibilo veloce e inarrestabile si fosse portato con sé il tuo caro amico, nonché compagno di viaggio?

Il ricordo dell’ultimo degli spalloni

Potrebbe essere l’inizio di un’avventura di finzione, ma è la realtà dura e cruda da digerire che gli spalloni vivevano ogni giorno. E questa è la raccolta dei ricordi di uno di loro: Mario Galletti.

Era l’8 maggio 1964, quel giorno infatti, di ritorno da “un viaggio di sigarette” in Svizzera, Mario e il suo compagno non trovarono la ricompensa pattuita. Ad accoglierli una pattuglia di finanzieri italiani aprì il fuoco, tradendo il patto implicito che vige tra chi scappa e chi insegue.

Sebbene non fosse scritto o riconosciuto ufficialmente, un codice morale imponeva alla Finanza di non sparare o ferire coloro che, quando scoperti, avrebbero lasciato il carico a terra. Quel giorno fecero proprio così: non bastò. Dopo sei mesi di agonia in un ospedale nel milanese Mario perse il suo amico. Oggi, nel punto esatto della tragedia sorge una cappella di pietra, da lui costruita in ricordo di quel giorno.

La conoscenza profonda della montagna

La sproporzione di tassazioni e bolli statali in territorio svizzero non è certo una caratteristica recente, anche nella prima metà del ‘900 la differenza di prezzo, a parità di merce, era importante varcato il confine. Questa la ragione che spinse gli abitanti, non solo dell’Ossola, a sfruttare la conoscenza perfetta e precisa di ogni crinale di quelle montagne. Solo loro avrebbero potuto aggirare i controlli e compiere i viaggi per distribuire le merci dal territorio elvetico sul suolo italiano. 

Mario Galletti è la voce che più, oggi, può raccontare quanto ha vissuto ieri. Di personalità così forti, infatti, è così raro incontrarne che la sua testimonianza ha un valore inestimabile per la valle: uomini che, come lui, sono rimasti sotto una valanga e possono oggi raccontarlo ai nipoti.

Aveva 17 anni, un lavoro normale col quale non riusciva a realizzare i piccoli sogni che si era prefissato. Passava le giornate nei boschi con i forestali, lavorava alla costruzione di strade carrozzabili e sentieri di montagna; fu lì che un suo compagno gli propose il primo viaggio, di prova, e se gli fosse poi piaciuto avrebbe potuto continuare più seriamente. La paga di un solo carico era la stessa di un mese di lavoro, il prezzo delle sigarette in Italia poteva facilmente essere duplicato. Iniziò così il suo capitolo da spallone.

Le sigarette nella bricolla

La maggior parte dei suoi viaggi era di sigarette, raramente il caffè perché il guadagno era minore. Camminava con in spalla una bricolla, una sacca con spallacci nei quali inserire la merce. Una stecca di sigarette conteneva 25 pacchetti, la bricolla piena poteva portarne fino a mille. Oltre al peso e all’ingombro, il problema più grande era orientarsi nel buio della notte, ritrovare il sentiero di casa senza cadere nei dirupi.

Oggi siamo abituati a scarponi da trekking performanti e confortevoli, allora il miglior amico dello spallone erano grosse racchette da neve in legno chiodate, ancora di salvezza per rimanere saldi sul terreno innevato. Non ultimo tra i pericoli, cercare di non farsi scoprire dai finanzieri italiani consapevoli degli spostamenti di merce oltre il confine e spesso appostati lungo i percorsi. Lungo il viaggio d’andata infatti non si incontravano grossi ostacoli: l’ingresso in Svizzera era facile attraverso la dogana. Le difficoltà si sommavano al ritorno. Nonostante la fatica di un lavoro simile, però, appena maggiorenne, aveva le forze di compiere il percorso quasi ogni settimana.

La memoria al museo di San Lorenzo

Tra aneddoti e strumenti conservati, bricolle e nascondigli impensabili, al museo delle donne di San Lorenzo sono raccolti oggetti e testimonianze di un mestiere riconosciuto non dalla legge, ma dalla valle di un tempo. Tra scarponi chiodati, racchette, abiti e sigarette, è addirittura in mostra un esempio dell’ingegno degli spalloni: un tronco d’albero cavo utilizzato per il trasporto delle merci.

La vita in montagna è sempre stata dura, ma i suoi abitanti hanno dimostrato di esserlo più di lei: a metà tra il ricordo e la testimonianza, tra la realtà e la finzione, in valle per secoli è andata in scena la partita per la sopravvivenza, per le speranze dei giovani sognatori.

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