Ambrogio Fogar

Ambrogio Fogar: l’esploratore italiano

Ambrogio Fogar

In pochi possono dire di aver raggiunto i luoghi più inospitali del pianeta.

Sono ancora meno coloro che possono dire di aver davvero raggiunto i cuori della gente

Ambrogio Fogar può affermare di aver compiuto entrambe le imprese.

Ma chi è Ambrogio Fogar?

Ambrogio Fogar

Ambrogio Fogar: la vita

Ambrogio Fogar nasce a Milano il 13 agosto 1941 in una normale famiglia lombarda.

Figlio di un assicuratore e di un’insegnante, secondo di quattro fratelli, Fogar prenderà ben poco di quella normalità, sviluppando sin da piccolo una curiosità quasi provocatoria verso i limiti umani, specialmente i propri.

Si dice che ancor prima di compiere diciotto anni, coltivò quella che diventerà una passione incontrollabile per le avventure, dedicando tempo ed energie a piccole, ma già grandi, imprese.

Ne citiamo alcune.

Appena maggiorenne Ambrogio supera, per ben due volte, la catena delle Alpi Italiane con gli sci, partecipando poi, sempre nelle discipline alpine, a numerose gare senza il benché minimo allenamento.

Deciderà successivamente di dedicarsi al paracadutismo, effettuando numerosi lanci in solitaria.

Dalla terra al cielo.

Compiuto l’addestramento militare di leva obbligatoria, decide di raggiungere panorami più alti delle sole montagne, conseguendo senza troppa fatica anche un brevetto di pilota per piccoli aerei acrobatici.

La storia ci rivela che quella decisione arrivò dopo un incidente nel corso del suo 56esimo lancio col paracadute, un assaggio di come Fogar era solito reagire ai duri colpi che la vita, da lui vissuta senza troppi freni, gli avrebbe riservato.

Ha poco più di vent’anni quando la sua carriera estrema spazia già dalla montagna al cielo.

Non classificabile, idiosincratica ed imprevedibile era, oltre che la sua ricerca d’avventura, la sua personalità. 

Fogar era iscritto alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, poi abbandonata per tanti lavori diversi in grado di finanziare i suoi costosi “passatempi”.

Se ripercorriamo la sua vita fino ai 25 anni c’è ben poco da capire.

E a noi piace pensare che anche lui non avesse la minima intenzione di rispettare canoni o logiche comuni.

Studente con inclinazione per la politica internazionale e la sociologia, appassionato scalatore, scialpinista, paracadutista, pilota d’aereo, comparsa alla Scala, venditore.

È chiaro che Ambrogio Fogar, già da giovane, rifiutasse con decisione ogni etichetta sociale.

Affascinato dal confronto uomo-natura, dal cielo Fogar passa al mare.

Nascerà proprio da questo sodalizio la figura che tutti conosciamo, un successo mediatico ed un esempio di vita, vissuta davvero.

Ambrogio Fogar: imprese ed esplorazioni

È dunque tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70 che il giovane Fogar si lascia affascinare dal mare. 

Conclude varie regate nel Mediterraneo, attraversando nel 1972 l’Atlantico del nord in solitaria. Ma la prima vera, grande impresa viene portata a termine tra il 1973 e il 1974: esattamente in 402 giorni Fogar circumnaviga il globo a bordo di una piccola imbarcazione a vela con partenza e ritorno nei mari della Toscana. 

Una curiosità sull’impresa: la decisione di compiere (come pochi altri) la traversata completamente controcorrente, da Est a Ovest. 

Tornato in Italia, il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) lo premierà con la medaglia d’oro al valore atletico per meriti eccezionali, seguita dal Grifone d’oro.

Non solo: riceverà anche il titolo di commendatore della Repubblica Italiana e la medaglia d’oro al valore marinaro.

Ambrogio Fogar museo Bognanco
Ambrogio Fogar al Museo delle Donne – San Lorenzo

Ambrogio Fogar: il naufragio

È il 6 Gennaio 1978 quando Fogar decide, insieme all’amico Mauro Mancini, di salpare da Mar del Plata per intraprendere la navigazione verso Capo Horn.

Passano poco più di 10 giorni in mare aperto.

Il 18 Gennaio 1978, al largo delle isole Falkland, i segnali radio alla capitaneria di porto si interrompono. Più tardi si scoprirà che un’orca (o una balena) aveva urtato la loro imbarcazione.

I due avevano slegato la zattera, dando inizio al loro naufragio.

Una razione abbondante di pancetta, 1 kg di zucchero e acqua: questo ciò che avevano potuto recuperare.

Basteranno per più di due mesi: 74 giorni in mare aperto.

Saranno individuati da una nave greca e portati in salvo. L’amico Mauro Mancini, a causa di una somministrazione di penicillina (alla quale era allergico) subì uno shock anafilattico, spegnendosi.

Le polemiche e la perdita del caro amico terranno Ambrogio lontano dalle imprese per circa un anno, giusto il tempo per trovare la nuova spedizione ai limiti del possibile.

Il Polo Nord.

Montagna, cielo e mare evidentemente non erano abbastanza.

O non erano stati capaci di soddisfare la sua fame di scoprire il mondo e se stesso.

Per prepararsi alla spedizione, Fogar trascorre due mesi in Alaska con l’obiettivo di imparare a guidare i cani da slitta.

Toccherà poi le zone dell’Himalaya, della Groenlandia e dell’Adamello per abituare il corpo alle temperature rigide, padroneggiando le reazioni al gelo.

Studierà infine lo stile di vita degli eschimesi, tra abitudini e nutrizione.

È in queste “spedizioni di avvicinamento” all’impresa che Fogar conoscerà il suo futuro compagno di viaggio.

Ambrogio Fogar e Armaduk

Ambrogio Fogar e cane Armaduk Polo Nord

Negli anni ’80, nonostante la già interminabile carriera da esploratore Fogar trascorre due mesi in Alaska per imparare l’arte di guidare i cani da slitta. 

Il suo obiettivo è infatti prepararsi all’ultima, e forse più nota, impresa: il Polo Nord. 

Qui conosce Armaduk (in foto), un cane husky da cui non riuscirà più a dividersi, tanto da decidere di condividere con lui il viaggio al nord: trascorreranno 51 giorni tra i ghiacci polari.

Negli anni ’80 Armaduk diventerà un’icona.

Un’azienda che produce alimenti per animali sceglierà il suo volto per le proprie confezioni, dando avvio anche a veri tour promozionali.

Un’amicizia a cui il brand di giocattoli componibili Lego, dedicherà due personaggi a loro ispirati.

Armaduk morirà di vecchiaia il 24 febbraio 1993, all’età di 17 anni.

La spedizione al Polo Nord

Della spedizione all’estremo Nord si parla ancora adesso in Val Bognanco, la valle piemontese a cui Ambrogio era profondamente legato.

Tornato dalla spedizione, non riuscita, la delusione era infatti tanta che i valligiani, sentite le confessioni di Fogar, ne ricordano ancora i giorni.

L’amarezza però, in pieno stile Fogar, ha da subito ceduto il passo all’ottimismo.

La ragione del “fallimento” si deve, come da Fogar stesso raccontato, ad una calotta di ghiaccio alla deriva su cui malauguratamente era finito.

Da lì i soccorsi e dunque la rinuncia alla conclusione.

Non prima però di “toccare” comunque il Polo, che Ambrogio chiese al pilota di poter sorvolare.

Fu così che, di ritorno dall’Italia, potè comunque affermare di averlo raggiunto.

Fogar Ambrogio: libri e televisione

Toccato ogni estremo del mondo, Fogar non si fermò.

Conquistò il cuore delle persone, portandole con sé in giro per il globo, all’avventura.

Da questo momento che il suo capitolo sportivo si lega alla voglia di raccontare le proprie imprese al mondo. 

Nel 1975 esce con l’editrice Rizzoli il suo bestseller 400 giorni intorno al mondo”. 

Con il successo arrivarono anche le prime critiche e controversie.

Un lettore si accorse infatti che 6 pagine di quel libro mostravano una certa somiglianza con l’opera di un navigatore britannico. 

Il 1976 è l’anno di un’altra rotta transatlantica in solitario, a seguito della quale Fogar pubblica il libro Messaggi in bottiglia. Da un catamarano in mezzo all’Atlantico

Dopo aver esplorato il famoso Triangolo delle Bermude, ne produrrà un libro dal titolo omonimo.

In seguito al famoso e discusso naufragio del 1978, il racconto dei 74 giorni in mezzo all’oceano, confluisce in La zattera, libro edito da Rizzoli, in cui Fogar racconterà di aver perso 40 chili, oltre all’amico giornalista, compagno di traversata. 

Nel 1983 pubblica un nuovo libro “Sulle tracce di Marco Polo”.

È a questo punto che Fininvest, la vecchia Mediaset di Silvio Berlusconi, gli offre la possibilità di condurre un programma televisivo sugli sport estremi.

Ecco l’occasione che aspettava.

Fogar accetta.

Nasce “Jonathan – Dimensione avventura”.

Un programma che raccontava i confini del mondo, con l’obiettivo di non raggiungerli più solo, ma insieme a tutte le famiglie d’Italia, portando nelle case delle persone immagini, storie e culture prima irraggiungibili e che portò Fogar e la sua troupe televisiva in 7 anni di spedizioni e reportage negli angoli più remoti del globo.

Doti da esploratore ma anche da comunicatore ed intrattenitore, Fogar conquistò tutti con il romanticismo dei suoi viaggi, merito che valse al programma un grande successo, condito dal Gran Premio Internazionale dello Spettacolo, poi seguito dal Telegatto, nel 1985.

 La fama acquisita gli apre le porte per numerose rubriche in televisione, tra “Canale 5” e “Italia 1”, ma anche su settimanali come Il corriere dei ragazzi. Il suo volto diventa simbolo dell’avventura per i più giovani, ma anche per tutto il pubblico italiano. 

Tra gli altri titoli, ricordiamo poi “L’ultima leggenda” e “Verso il Polo con Armaduk”, il racconto della traversata polare insieme al suo compagno di viaggio a quattro zampe.

L’incidente

Montagna, cielo poi mare e ghiaccio: mancava il deserto e Ambrogio non poteva certo tirarsi indietro.

L’ultima grande sfida di Fogar è la partecipazione a tre edizioni della Parigi-Dakar, oltre a tre Rally dei Faraoni

Nell’ultima di queste competizioni, il raid Parigi-Mosca-Pechino, 12 settembre 1992, un incidente porta la sua macchina a capovolgersi.

Ambrogio Fogar si ritrova con la seconda vertebra cervicale spezzata e il midollo spinale tranciato. 

Dopo una vita ai limiti delle possibilità umane, un incidente automobilistico gli provoca l’immobilità assoluta e permanente: una condanna per Ambrogio, abituato a non porsi mai limiti se non per superarli.

L’ultima spedizione

Ambrogio trascorre 13 anni in sedia a rotelle, cercando comunque di vivere ed ispirare.

5 anni dopo l’incidente, infatti, salpò per un giro dell’Italia in barca a vela: “Operazione Speranza”.

Nei porti dove si ferma, il giro promuove una campagna di sensibilizzazione nei confronti delle persone disabili, destinate a vivere in sedia a rotelle.

Dopo 13 anni, Ambrogio Fogar scompare per arresto cardiaco il 24 Agosto 2005, all’età di 64 anni.

A settembre dello stesso anno aveva prenotato un volo per la Cina.

La sua ultima spedizione sarebbe stata per un tentativo con le cellule staminali dello specialista e neurochirurgo Huang Hongyun.

La memoria: il bivacco Ambrogio Fogar sull’Alpe Fornalino

Raggiunse il Polo Nord, concluse l’intera cinta del globo, eppure Fogar amava raccontare che la sfida personale che più lo rese fiero era stata l’arrampicata sull’Alpe Fornalino, in Val Bognanco nei pressi del Lago Maggiore, Piemonte.

Bivacco Ambrogio Fogar

2114 metri sopra il livello del mare, tra le creste dell’alpe del Fornalino, oggi il bivacco Ambrogio Fogar ospita ogni stagione centinaia di escursionisti e camminatori che si lasciano trasportare dalle bellezze dell’alta montagna

Quel bivacco, precisamente dal 24 Agosto 2005, porta il suo nome in onore del giorno in cui il famoso esploratore e avventuriero se ne andò.

La figura di Ambrogio Fogar è ancora oggi esempio di coraggio e sportività, stimolo al superamento dei propri limiti e caro ricordo per gli abitanti della valle. 

Era infatti molto legato a Bognanco, casa accogliente delle sue estati ma soprattutto terra di alcune delle sue imprese. 

E se Ambrogio Fogar è riuscito a portare lo spirito della sua amata valle in ogni parte del globo, oggi una vecchia baita, divenuta bivacco, cerca di regalare al mondo intero quello che è stato, e che è, il cuore più audace e intrepido della Val Bognanco.

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