Quando si nominano leggende piemontesi, quella di Maria Giapa sfuma il confine tra mistero e storia (quasi) vera.
La tradizione orale compone l’anima di ogni paese, tramandando storie e dicerie, antichi detti e usanze che resistono al tempo più per il legame affettivo e caratteristico che per la loro validità storica.
Anche il piccolo borgo di Graniga nasconde una leggenda sul Piemonte, mai pienamente svelata.
Circa un paio di secoli fa, Maria Giapa era una donna molto conosciuta tra gli abitanti della frazione di Graniga.
Veniva descritta piuttosto magra, con l’abitudine di passare per i vicoli della frazione, anche quelli più stretti, con il suo caratteristico strano gerlo sulle spalle.
Indossava un vestito lungo con un grande foulard che le copriva interamente la testa.
Sulle spalle teneva un gerlo, una cesta di legno intrecciata con due cinghie, storico strumento di lavoro per trasportare legna, erba o prodotti della terra, oggi visitabili presso il museo delle donne di San Lorenzo.
Si racconta che Maria controllasse che i bambini non litigassero tra di loro e obbedissero ai propri genitori.
Un tempo, quando i bambini erano lasciati liberi di giocare tra i prati, gli si raccomandava di non allontanarsi troppo da casa e non spingersi da soli nell’Arvina. Quel luogo, infatti, sul sentiero che porta a Pizzanco, era ritenuto molto pericoloso.
Nacque così il detto:
L’abitudine, nonostante l’immagine spaventosa per i bimbi, aveva però un fondo di verità.
Da decenni, infatti, si tramandava la storia che Maria Giapa avesse davvero messo nel suo gerlo un bambino che non voleva saperne di fare il bravo. Caricato poi sulle spalle, si racconta lo avesse portato con sé in alto sulle montagne dove, con l’arrivo della primavera, lei era solita andare.
Il gerlo di Maria Giapa, si dice, fosse un gerlo speciale: quando scendevano i piedi del piccolo sfortunato sul fondo, un laccio veniva stretto tanto da non consentire al bimbo di scappare via dalla cesta.
Nessuno ebbe mai notizie di dove Maria Giapa portò quel bimbo, perché negli anni successivi, sulle montagne di Bognanco, non si vide traccia né di Maria Giapa, né di quel bambino.
Gli anni passarono e gli abitanti di Graniga quasi non si ricordavano nemmeno della figura dell’anziana fino a che, dopo un po’, non si parlò nemmeno del bambino.
Inaspettatamente, un giorno, un signorotto ben vestito e con una gerla sulle spalle, arrivò in paese scendendo proprio dal sentiero della Gomba.
Quando arrivò davanti all’oratorio di San Rocco, posò la gerla sulla panca di sasso, con dentro una signora molto anziana, con il viso coperto da un grande foulard.
Per molti fu il dettaglio inconfondibile: era proprio Maria Giapa.
La vecchietta, però, aveva il viso talmente pallido che sembrava morta.
Aveva gli occhi socchiusi e non riusciva a muoversi: aveva le caviglie legate da un laccio. I primi curiosi intervenuti nella piazza del borgo si prodigarono per liberarla e, quando ebbero fatto, aiutarono l’anziana signora a distendersi sulla panca di pietra.
Quando, però, si girarono per chiedere informazioni al signore ben vestito che l’aveva riportata a Graniga, si stupirono nel vedere che non c’era più.
Era misteriosamente scomparso.
Nella piccola piazza davanti all’oratorio erano rimaste ormai solo le poche persone giunte a vedere. La vecchietta, dopo i primi soccorsi, sembrava riprendersi: aprì gli occhi e sussurrò poche parole: “Sono ritornata, portatemi nell’Arvina. Buttatemi giù nell’Arvina. E’ ora che io vada a morire lì.”
E spirò.
Qualcuno dei presenti ebbe la compassione di coprire il volto dell’anziana con il suo grande foulard. Qualcun’altro allungò il suo corpo ormai scheletrico sulla panca e lo coprì con una coperta, in attesa del parroco che, saputo del fatto, salì velocemente da San Lorenzo a Graniga.
Tra i bognanchesi, i più giovani erano ormai sicuri che la vecchia non fosse più un pericolo e ridevano. I vecchi invece, sicuri di aver visto un signore ben vestito, si interrogavano sull’accaduto e sull’identità del forestiero. Rimaneva forte l’incognita di sapere chi era quel signorotto elegante giunto dalla Gomba.
Forse era proprio quel bambino che Maria Giapa aveva portato via nella gerla tanti anni prima?
Forse quel bambino cresciuto aveva portato la vecchia nel suo paese d’origine per farla morire in pace?
Nessuno lo seppe mai e il parroco celebrò il rito funebre nell’oratorio di Graniga. Venne organizzato in fretta il funerale con tanto di corteo e sepoltura della vecchietta proprio all’Arvina, con ampia vista sulle montagne, come lei stessa aveva chiesto.
Ovviamente il suo corpo non venne buttato giù nella scarpata. Venne sepolta sul bordo del dirupo e a maggior sicurezza, venne sepolta insieme al corpo della donna anche quella misteriosa gerla con i lacci per i piedi.
La fossa fu coperta con pesanti pietre e sopra fu piantata un’anonima croce in legno grezzo con scritto: “Qui giace per sempre Maria Giapa.”
Dopo pochi anni, però, una grossa frana partita dal fondo della valle, fece crollare parte della montagna, compresa proprio l’Arvina e, ancora più su, tutto il versante fino alla Gomba.
La salma di Maria Giapa venne trascinata insieme alla gerla e alla croce, quasi a pensare che la vecchia, non trovando pace, avesse mandato quella catastrofe per andarsene finalmente nel luogo che tanto amava.
Nessuno trovò mai più alcuna traccia del corpo di Maria Giapa, né della gerla e nemmeno della grossa croce in legno.
Ai bambini di Graniga, da quel giorno, venne sempre detto di non andare mai da soli nell’Arvina e di fare i bravi.
Altrimenti Maria Giapa li avrebbe portati via con sé nella gerla.