Cos’è l’alpeggio
L’alpeggio è una pratica agricola tradizionale che consiste nel trasferire il bestiame verso pascoli d’alta quota durante la stagione estiva. Questo spostamento, noto come monticazione, avviene solitamente tra la fine di maggio e metà giugno, quando l’erba dei pascoli montani è rigogliosa e pronta per il nutrimento degli animali. La stagione dell’alpeggio si conclude in autunno, con la demonticazione, il ritorno del bestiame verso le pianure o le stalle in quota più bassa.
Una curiosità: spesso con il termine alpeggio si indica anche propriamente l’ambiente di pascolo montano in cui il bestiame è portato durante la transumanza.

Questa attività non è solo una soluzione stagionale per il pascolo, ma rappresenta un vero e proprio equilibrio tra uomo, animale e ambiente naturale. Praticato tradizionalmente nelle Alpi, sugli Appennini e in altre catene montuose europee, l’alpeggio si svolge a un’altitudine compresa tra i 600 e i 2.700 metri sul livello del mare, con una durata e un’organizzazione che variano in base alla morfologia del territorio e alle condizioni climatiche.
Gli alpeggi non sono tutti uguali: possono differire per altitudine, esposizione al sole, composizione del suolo e varietà vegetali presenti. Questi fattori influenzano il valore nutritivo dell’erba, fondamentale per garantire il benessere degli animali e la qualità dei prodotti caseari o zootecnici ottenuti.
L’alpeggio offre numerosi benefici sia agli animali che all’ambiente. Da un lato, i pascoli d’alta quota forniscono erbe più nutrienti, migliorando la salute e la produttività degli animali. Dall’altro, l’alpeggio favorisce l’equilibrio ecologico, prevenendo l’abbandono delle aree montane e contribuendo a mantenere la biodiversità del territorio.
Nonostante la sua importanza storica e ambientale, questa pratica rischia di scomparire. La modernizzazione dell’agricoltura e le difficoltà economiche delle comunità montane hanno portato a un progressivo calo dell’alpeggio, rendendolo una tradizione da tutelare per le generazioni future.

Tipologie di alpeggio
Più in generale, gli alpeggi alpini sono generalmente caratterizzati da pascoli ricchi e articolati, distribuiti su diverse altitudini fino a 2.700 metri. Sono ideali per bovini e, nelle zone più alte, per caprini.
Negli Appennini, l’alpeggio avviene a quote leggermente inferiori rispetto alle Alpi, tra i 600 e i 1.800 metri, e si concentra prevalentemente sull’allevamento di ovini.
Infine sugli altopiani, spesso a quote comprese tra i 500 e i 1.200 metri, l’alpeggio è più estensivo e praticato su prati di media altezza.
Se osserviamo più da vicino l’alpeggio, scopriamo che si adatta alla morfologia e alle caratteristiche dei territori, seguendo un’organizzazione che varia in base all’altitudine e alla tipologia di pascoli disponibili.
Questa progressione, scandita da tappe precise durante la monticazione, permette di ottimizzare le risorse naturali offerte dall’ambiente montano e di garantire il benessere degli animali.
- Alpeggio nelle valli e nei casolari
Il viaggio verso i pascoli d’alta quota inizia generalmente nelle valli o sugli altopiani, a un’altitudine compresa tra i 700 e i 1.000 metri. Qui si trovano i casolari, strutture rurali semplici che fungono da punto di partenza per il bestiame. I casolari sono spesso dotati di stalle e piccoli prati circostanti, ideali per un primo approccio al pascolo. In questa fase iniziale, l’erba non è abbondante ma sufficiente per i bisogni del bestiame, e i prati vengono preparati per il successivo ciclo agricolo grazie alle deiezioni animali che arricchiscono il suolo.
- Malghe di bassa quota: tra 900 e 1.300 metri
Proseguendo nella salita, si arriva alle malghe di bassa quota, situate tra i 900 e i 1.300 metri. Questi pascoli dispongono di un’area più ampia e ricca, in grado di accogliere intere mandrie. Le malghe, oltre a offrire abbondante foraggio, rappresentano il primo passo verso un’alimentazione completamente naturale e ricca di nutrienti, che si riflette sulla salute e sulla qualità dei prodotti derivati dal bestiame.
- Malghe di alta quota: tra 1.400 e 1.900 metri
Gli animali adulti e giovani più robusti vengono poi condotti verso le malghe di alta quota, poste tra i 1.400 e i 1.900 metri. Questi pascoli, più rigogliosi e immersi in un contesto incontaminato, sono ideali per sviluppare la muscolatura del bestiame e migliorare il sistema circolatorio e respiratorio grazie all’aria rarefatta e al maggiore sforzo fisico richiesto. Le malghe di alta quota dispongono spesso di strutture che permettono di lavorare direttamente sul posto i prodotti caseari, come latte e formaggi.
- Baite e pascoli alpini: oltre i 1.900 metri
Infine, si raggiungono le baite, poste oltre i 1.900 metri, e i pascoli alpini più alti. Questi territori offrono un foraggio altamente nutriente e benefico per il bestiame. Qui, l’aria pura e i raggi solari intensi favoriscono il metabolismo degli animali, migliorando il loro benessere e aumentando la qualità dei prodotti zootecnici. Le baite sono spesso utilizzate per ospitare mandrie più piccole, come capre e ovini, che sono più adatte alle condizioni estreme di queste altitudini.
Gli alpeggi nelle diverse regioni d’Italia
In Italia, l’alpeggio assume nomi, tradizioni e peculiarità differenti a seconda della regione. Questo mosaico di denominazioni riflette la ricchezza culturale e linguistica del Paese, oltre a raccontare le diverse modalità con cui le comunità montane si sono adattate all’ambiente naturale.
- Arp o Alpe
- Montagnette
- Malga
- Alm
- Crosa
- Pratone o Pascolo di monte
- Stazzo
- Masseria d’altura o semplicemente Montagna
- Mandria
- Piano di montagna o Pagghiaru
- Tanca o Cuile
- Gennargentu
Nelle regioni alpine come Valle d’Aosta e Piemonte, l’alpeggio è spesso chiamato Arp o Alpe, termini che evocano i vasti pascoli montani dove il bestiame trascorre l’estate. Qui sorgono baite e strutture in pietra, utilizzate per il ricovero degli animali e la produzione di formaggi tipici.
In Lombardia e Veneto, il termine più diffuso è Malga, che indica sia i pascoli montani sia le costruzioni dedicate alle attività casearie. Sui monti del Trentino-Alto Adige, si parla di Alm, parola di origine tedesca che sottolinea l’influenza culturale delle popolazioni germaniche.
In alcune aree piemontesi e lombarde, troviamo anche le Montagnette, piccoli appezzamenti di prato che collegano i pascoli di media e alta quota.
Scendendo lungo la dorsale appenninica, gli alpeggi si trasformano in Pratoni o Pascoli di monte, termini diffusi in Toscana, Emilia–Romagna e Umbria. Questi prati erbosi sono spesso delimitati da boschi di faggi e querce, creando ambienti ideali per l’allevamento ovino e bovino.
Nel Lazio e in Abruzzo, si utilizza spesso la parola Stazzo, che richiama sia l’area pascolativa sia le semplici strutture per il ricovero degli animali. Qui la pastorizia ha un ruolo cruciale, con tradizioni che risalgono ai transumanti.
Nel sud Italia, l’alpeggio è spesso legato al concetto di Masseria d’altura o semplicemente Montagna, come avviene in Campania e Basilicata. Questi luoghi, solitamente meno ripidi rispetto alle Alpi, sono caratterizzati da distese aperte e vaste aree destinate alla pastorizia.
In Sicilia, si parla di Piano di montagna o Pagghiaru, termini che sottolineano l’aspetto rurale e semplice degli alpeggi locali. Nella Sardegna montuosa, invece, troviamo le Tancas o i Cuiles, strutture in pietra tipiche dei pastori del Gennargentu, dove ancora oggi si producono formaggi e carni di altissima qualità.
I curt e curtitt in Val Bognanco
Un caso emblematico è quello del Piemonte, in particolare del borgo di Pizzanco, dove le comunità valligiane hanno utilizzato i termini Curt e Curtitt per indicare i pascoli maggengali e le zone di transizione verso l’alpeggio estivo. Qui, la simbiosi tra uomo e natura è stata essenziale per strappare alla montagna terreni da dedicare al bestiame e alla produzione agricola.
Per secoli, le famiglie di queste zone hanno vissuto seguendo il ritmo della natura: d’inverno il bestiame era custodito nelle stalle del borgo, mentre con l’arrivo della primavera si avviava l’esodo verso i pascoli alti. Questo ciclo, fatto di fatica e dedizione, ha plasmato il paesaggio e le tradizioni locali.
C’è differenza tra malga e alpeggio?
Spesso i termini Malga e Alpeggio vengono utilizzati come sinonimi, ma indicano concetti leggermente diversi, legati sia alla funzione che al contesto geografico.
L’alpeggio si riferisce in senso più ampio all’attività di portare il bestiame a pascolare in alta quota durante la stagione estiva. È un sistema che comprende i prati montani, i sentieri di transumanza e le strutture costruite per sostenere questa pratica, come baite e rifugi. Il termine è generico e utilizzato in tutta Italia, adattandosi alle tradizioni locali.
La malga, invece, è un termine più specifico e indica una struttura o un insieme di strutture situate nell’area di alpeggio. Comprende abitazioni, stalle e locali adibiti alla lavorazione del latte, come casere per la produzione di burro e formaggi. È un termine tipico delle Alpi Orientali, particolarmente diffuso in Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia.

Cosa significa alpeggiare: la vita in alpeggio
Alpeggiare non è solo un’attività legata all’allevamento: è uno stile di vita, un’esperienza fatta di ritmi lenti, sacrificio e profonda connessione con la natura. Per i pastori, l’alpeggio rappresenta mesi di duro lavoro in alta quota, lontani dalla comodità della vita urbana.
Con l’arrivo della primavera, i pastori lasciano le loro case a valle per trasferirsi nelle baite o malghe d’altura. Qui il tempo sembra fermarsi, scandito dalla cura del bestiame e dalla lavorazione dei prodotti caseari. Le giornate iniziano all’alba, quando il gregge viene condotto ai pascoli, e si concludono al tramonto, dopo aver trasformato il latte in formaggi e burro.
Il silenzio delle montagne, rotto solo dai campanacci delle mandrie, accompagna i pastori durante le lunghe ore di solitudine. Tuttavia, questa routine, apparentemente immutabile, è il risultato di secoli di tradizione. Alpeggiare è una pratica che richiede resistenza fisica, adattabilità e una conoscenza intima del territorio.
Oggi, il modello tradizionale dell’alpeggio è cambiato: il 70% degli alpeggi è gestito da poche aziende professionali, che riescono a “caricare” il pascolo con decine di capi, spesso utilizzando moderni mezzi di supporto. Ma l’essenza dell’alpeggiare rimane, radicata in una relazione antica tra uomo e natura.
La transumanza: l’anima della pastorizia
La vita in alpeggio si intreccia profondamente con la transumanza, la pratica secolare di spostare il bestiame tra i pascoli di pianura e quelli di montagna. Il termine deriva dal latino trans (“attraverso”) e humus (“terra”), e rappresenta non solo un metodo di allevamento, ma anche un patrimonio culturale che racconta il legame tra uomo, animali e paesaggi.
La transumanza è il movimento stagionale del bestiame, che in primavera si sposta verso le alte montagne (monticazione) e in autunno torna a valle (demonticazione). Questo ciclo segue il ritmo delle stagioni: in estate, i pascoli di montagna offrono erba fresca e abbondante, mentre in inverno il bestiame trova riparo nelle stalle o nei pascoli di pianura.
Si divide in due momenti principali:
- Monticazione: inizia a maggio o giugno, quando il clima diventa più mite e i pascoli di montagna si riempiono di erba rigogliosa.
- Demonticazione: avviene tra settembre e ottobre, quando il freddo comincia a coprire i pascoli d’altura di brina o neve.
Si svolge lungo percorsi chiamati tratturi, antiche vie erbose tracciate dal passaggio degli armenti. Questi sentieri, lunghi anche centinaia di chilometri, collegano pianure e montagne, attraversando paesaggi mozzafiato. Durante il viaggio, il pastore guida il bestiame, spesso accompagnato dai suoi cani, garantendo che gli animali restino uniti e al sicuro.
Ma transumanza è anche un rito: ricco di tradizioni e significati simbolici. Anticamente, il passaggio verso gli alpeggi era accompagnato da canti, preghiere e celebrazioni, un momento di unione per le comunità locali. Oggi è riconosciuta come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dall’UNESCO dal 2019, e continua a rappresentare un simbolo di sostenibilità e tradizione.
Sebbene molte sue caratteristiche siano cambiate con l’avvento della modernità, la transumanza resta un ponte tra passato e presente, un’eco di un’epoca in cui uomo e natura vivevano in perfetta armonia.
Com’è fatto un alpeggio
L’alpeggio è un sistema complesso, in cui uomini, animali, edifici e pascoli si intrecciano in un equilibrio unico. Ogni componente ha un ruolo chiave nel garantire la funzionalità e la sostenibilità di questo ambiente.
Uomini e ruoli
Il cuore dell’alpeggio sono i pastori e il casaro, quest’ultimo responsabile della lavorazione del latte e della gestione complessiva. Insieme ai garzoni d’alpe, si occupano del bestiame, dei pascoli e della manutenzione delle strutture. La rotazione delle responsabilità tra famiglie del borgo, tipica del passato, evidenzia il carattere comunitario di questa attività.
Il bestiame
Gli alpeggi ospitano principalmente bovini da latte e carne, affiancati da greggi di capre e, occasionalmente, suini. Gli animali si nutrono di erbe fresche e aromatiche, contribuendo alla fertilità del suolo con il letame prodotto. Questo ciclo naturale garantisce una produzione di alta qualità, dal latte alla carne.
Le strutture
Gli edifici dell’alpeggio sono essenziali e funzionali:
- Casera: il centro operativo, dove si producono burro e formaggi, e i pastori trovano riparo.
- Cantinette: piccoli magazzini vicini a sorgenti o ruscelli, ideali per conservare formaggi, latte e burro al fresco.
- Stalle: rifugi per gli animali e deposito del fieno durante le giornate piovose.
Tutte le costruzioni seguono l’architettura alpina tradizionale, con muri in pietra a incastro e tetti in piode, garantendo isolamento e resistenza.
Pascoli e infrastrutture
I pascoli montani, rigogliosi e ricchi di erbe spontanee, sono il fulcro dell’alpeggio. A supporto dell’attività, una rete di sentieri e mulattiere facilita gli spostamenti e il trasporto di prodotti. Canali di scolo e fontane assicurano igiene e acqua per uomini e animali.

Cosa si produce in alpeggio
In alpeggio si producono alcuni dei prodotti caseari più pregiati e caratteristici, tra questi:
- latte
- burro
- yogurt
- formaggi freschi
- formaggi stagionati
La natura incontaminata e la lavorazione artigianale sono le due chiavi che rendono ogni prodotto dell’alpeggio speciale e diverso dagli altri, come un vero e proprio “terroir” caseario.
Le erbe che crescono spontaneamente nei pascoli montani, spesso ricche di fiori e piante officinali, arricchiscono il latte con un bouquet di aromi che variano a seconda delle stagioni.
Le particolari condizioni ambientali, come il clima fresco e le temperature più basse, favoriscono la crescita di piante particolari, che infondono ai formaggi e agli altri prodotti una ricchezza di sapori che non si trova altrove.
Tra i principali protagonisti della produzione casearia alpina troviamo i formaggi, veri e propri ambasciatori del territorio. I formaggi freschi, come la ricotta e la toma, sono apprezzati per la loro delicatezza, con una consistenza morbida e un sapore delicato, mentre i formaggi stagionati, acquisiscono con il tempo aromi intensi e un gusto più strutturato.
Un altro prodotto d’alpeggio distintivo è il burro, che si distingue per il suo colore giallo intenso e il sapore ricco. La sua cremosità, unita al profumo di erbe fresche, lo rende ideale per essere spalmato su pane appena sfornato o utilizzato in cucina per preparazioni dolci e salate. Il burro d’alpeggio, realizzato con il latte appena munto, è più ricco di nutrienti, tra cui i grassi sani derivanti dall’alimentazione naturale degli animali.
Oltre ai formaggi e al burro, in alpeggio è possibile trovare anche altri prodotti caseari come yogurt e panna, che sono frutto della stessa qualità e freschezza del latte, ma con una consistenza più leggera e un sapore delicato che affonda le radici nelle tradizioni locali.

La storia degli alpeggi: come, dove e perché nascono
Gli alpeggi rappresentano una delle pratiche agricole più antiche e significative lungo l’arco alpino, simbolo di un adattamento secolare tra uomo e ambiente montano. Questa tradizione, radicata nel passato, ha modellato il paesaggio, la cultura e l’economia delle comunità alpine.
Le origini: dalle pecore alle mucche
Prima del 1000, gli alpeggi erano sfruttati prevalentemente per il pascolo di pecore e capre, animali resistenti e adatti ai terreni impervi delle medie e alte quote. Fu solo dopo il 1100 che si registrò un cambio significativo: il benessere economico crescente spinse i feudatari e le comunità alpine a privilegiare l’allevamento dei bovini, in particolare delle vacche da latte. Questo cambiamento rispondeva a una logica di maggiore produttività: le vacche garantivano una quantità superiore di latte e una maggiore redditività casearia, essenziale per il sostentamento e lo sviluppo delle comunità.
Le greggi di ovini e caprini non scomparvero, ma vennero relegati ai pascoli più magri e difficili da raggiungere, spesso al di sopra del limite dei prati destinati ai bovini. Questa separazione spaziale rappresenta un’efficace organizzazione territoriale, in cui ogni porzione di montagna trovava un utilizzo specifico.
L’alpeggio diventa pratica annuale
Dal 1200 in poi, l’alpeggio si consolidò come pratica annuale, con una migrazione stagionale del bestiame dalle valli ai pascoli più alti durante l’estate. I pascoli alpini, vergini e ricchi di erbe aromatiche, erano ideali per garantire una produzione casearia di qualità superiore. Tuttavia, proprio l’importanza economica di questi territori diede luogo a numerosi conflitti. Comunità e famiglie rivendicavano diritti sui pascoli migliori, spesso ricorrendo a giudici o istituzioni locali per dirimere le contese. La “Regola di Spinale”, ad esempio, nacque proprio per sancire i diritti di pascolo collettivo in una zona ambita come quella del Monte Spinale.
Documenti storici, come pergamene e sentenze, testimoniano quanto fosse centrale l’alpeggio nelle economie montane. La chiara delimitazione dei confini e l’organizzazione comunitaria erano essenziali per garantire un uso equo delle risorse naturali.
Un aspetto curioso e affascinante era l’elezione della “regina” della malga: la vacca che prendeva per prima la guida della mandria. Questo animale simbolico rappresentava il centro delle attività e della vita comunitaria durante i mesi estivi.
L’alpeggio si trasforma
Negli ultimi decenni, l’alpeggio ha subito una forte trasformazione. Se un tempo rappresentava una necessità, oggi è spesso visto come un’attività marginale e difficile. La meccanizzazione, l’abbandono delle zone più remote e l’intensificazione dell’agricoltura di fondovalle hanno ridotto il numero di malghe attive. La lavorazione del latte, un tempo eseguita direttamente in malga, è stata spesso trasferita a caseifici di valle, privando le comunità alpine di una delle loro tradizioni più autentiche.
I costi elevati e la scarsa valorizzazione economica hanno portato molte aziende agricole a rinunciare alla pratica dell’alpeggio. Tuttavia, questa tendenza ha un costo ambientale elevato: i pascoli abbandonati sono spesso riconquistati dal bosco, con effetti negativi sulla biodiversità e sull’equilibrio ecologico.
Il futuro dell’alpeggio
L’alpeggio continua a essere un elemento cruciale del patrimonio culturale alpino, nonostante le sfide moderne. In molte aree, l’interesse turistico e la crescente attenzione verso le tradizioni hanno stimolato iniziative per preservare questa pratica. Malghe e alpeggi, una volta abbandonati, sono tornati a produrre formaggi apprezzati per la loro qualità unica.
Non si tratta solo di una pratica economica, ma anche una risorsa per l’ambiente. Il pascolo degli animali arricchisce i terreni e favorisce la biodiversità, mentre gli animali stessi beneficiano di una vita all’aperto. I prodotti derivati, come i formaggi, sono di altissima qualità, riflettendo il valore nutrizionale e il legame profondo con la natura.
Proteggere e valorizzare questa tradizione: solo così l’alpeggio rimarrà un pilastro di identità per le comunità montane, e potrà continuare a raccontare storie di uomini e di montagne.