Un giorno con Rosanna tra ricordi e uncinetto

Il nostro viaggio nel 2025 continua. Un anno intero per raccogliere storie, per incontrare vite al femminile che si sono intrecciate e con la montagna, con la fatica e con la bellezza di chi non ha mai smesso di credere nella propria terra.

Ogni mese ci porta in un angolo diverso di questo mondo fatto di ricordi, tradizioni e cultura, antico ma resistente, dove il tempo sembra scorrere con un ritmo diverso. Con Lorena abbiamo imparato il suono della dedizione silenziosa, il valore del sacrificio, della passione, della musica e del silenzio. E ora, nel cuore dell’inverno, ci troviamo davanti a una porta che si apre su un’altra storia: quella di Rosanna.

Rosanna ci ha accolto nella sua casa, vestita con un bellissimo maglione color rosso amaranto, un sorriso dolce e quattro ferri da uncinetto tra le dita, che per tutte quelle ore non hanno mai smesso di intrecciarsi tra ricordi e matasse.

Il primo giorno insieme a Rosanna

Quella mattina, come tante altre, l’abbiamo interrotta mentre stava lavorando ai ferri, e ne abbiamo approfittato per farle qualche domanda. Così ci siamo seduti accanto a lei, stupiti di come i suoi occhi non avevano bisogno di guardare ciò che le mani stavano facendo.

È un movimento radicato nel suo essere, come il camminare sui sentieri che ha percorso fin da bambina.

E più noi domandavamo, più Rosanna ci portava con lei tra le montagne di quella sua infanzia, mentre le calze grigie prendevano forma.

“Avevamo una casa sull’alpe. Non c’erano ancora le strade di oggi per salire, così noi ci andavamo a piedi. Facevo tutto il sentiero con in tasca un gomitolo, non mi serviva più guardare per fare i ferri.”

La vita in alpeggio era scandita dal ritmo della transumanza. Con l’arrivo della primavera, la famiglia saliva con il bestiame per approfittare dei pascoli d’alta quota, caricando l’alpe con tutto il necessario per trascorrere l’estate. Mucche e capre venivano condotte lungo i sentieri, mentre le famiglie portavano con sé viveri, attrezzi e tutto il necessario per la lavorazione del latte. Si viveva in simbiosi con la montagna, adattandosi ai suoi tempi e alle sue leggi. In autunno, l’alpe veniva scaricata: il bestiame scendeva a valle, insieme agli ultimi prodotti caseari e ai ricordi di un’altra stagione passata tra quei prati alti. Era un ciclo che si ripeteva anno dopo anno, una danza antica tra uomo e natura.

Ci ha raccontato questo mentre continua a lavorare, senza perdere un punto. Siamo seduti nella sua cucina, una stanza piena di calore, di oggetti che parlano di una vita passata tra la terra e il cielo.

Le sue mani hanno raccolto fieno, tagliato legna, impastato pane. Hanno accarezzato animali e tessuto lana. Senza mai fermarsi alla stanchezza, proprio come lei. Ci ha raccontato di come da bambini portavano sempre un ramoscello a casa quando tornavano dal pascolo, perché serviva per accendere la stufa. “Non era tanto, ma senza non si poteva fare nulla. Anche solo per scaldare il formaggio.”

Poi le abbiamo chiesto del maglione rosso che indossava, un pezzo di storia che “avrà almeno quarant’anni”. Lo porta con orgoglio, perché ogni cosa che possiede ha un valore, una memoria, un legame con il passato.

Cosa ci ha insegnato Rosanna

La storia di Rosanna ci ha insegnato che la parola sacrificio non è sinonimo di rimpianto, ma di valore. Rosanna è una di quelle persone che della fatica hanno fatto la loro forza. Non c’è nostalgia nelle sue parole, solo gratitudine.

“Se tornassi indietro vorrei rifare tutto quello che ho fatto. Madonna, che bello essere montanara.”

Ci ha insegnato che la semplicità è un altro valore, che il lavoro delle mani è una forma di libertà, che la montagna non è solo un luogo, ma una scelta di vita. E che, nonostante il freddo, la fatica, l’isolamento, chi è nato tra queste cime non le lascerebbe mai per nulla al mondo.

Ora, dopo aver salutato Rosanna il nostro viaggio continua, in cerca di altre storie che fanno bene, per chi è disposto ad ascoltarle.

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